IL RISCHIO IDROGEOLOGICO                                                      

IL RISCHIO IDROGEOLOGICO

Il dissesto idrogeologico rappresenta per il nostro Paese un problema di notevole rilevanza, visti gli ingenti danni arrecati ai beni e, soprattutto, la perdita di moltissime vite umane. In Italia il rischio idrogeologico è diffuso in modo capillare e si presenta in modo differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo i conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra senza dubbio la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in via di sollevamento.
Tuttavia il rischio idrogeologico è stato fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e dalle continue modifiche del territorio che hanno, da un lato, incrementato la possibilità di accadimento dei fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone nelle zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti catastrofici. L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’apertura di cave di prestito, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi (acqua e gas) dal sottosuolo, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano.
Il continuo verificarsi di questi episodi ha indotto una politica di gestione del rischio che affrontasse il problema non solo durante le emergenze.
Si è così passati da una impostazione di base incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze, ad una cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio ed all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi.
A seguito dell’emanazione di recenti provvedimenti normativi, sono state perimetrate le aree del territorio italiano a rischio idrogeologico elevato o molto elevato. Parallelamente continuano ad essere intrapresi, promossi e finanziati numerosi studi scientifici volti allo studio dei fenomeni ed alla definizione più puntuale delle condizioni di rischio.
Sono state inoltre incrementate ed accelerate le iniziative volte alla creazione di un efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di una pianificazione di emergenza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle istituzioni agli eventi.
In termini analitici, il rischio idrogeologico è espresso da una formula che lega pericolosità, vulnerabilità e valore esposto:

Rischio = pericolosità x vulnerabilità x valore

La pericolosità esprime la probabilità che in una zona si verifichi un evento dannoso di una determinata intensità entro un determinato periodo di tempo (che può essere il “tempo di ritorno”). La pericolosità è dunque funzione della frequenza dell’evento. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile stimare, con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento per un determinato evento entro il periodo di ritorno. In altri casi, come per alcuni tipi di frane, tale stima è di gran lunga più difficile da ottenere.
La vulnerabilità invece indica l’attitudine di un determinata “componente ambientale” (popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti in funzione dell’intensità dell’evento. La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un dato elemento o di una serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno di una data magnitudo, espressa in una scala da zero (nessun danno) a uno (distruzione totale).
Il valore esposto o esposizione indica l’elemento che deve sopportare l’evento e può essere espresso o dal numero di presenze umane o dal valore delle risorse naturali ed economiche presenti, esposte ad un determinato pericolo.
Il prodotto vulnerabilità per valore indica quindi le conseguenze derivanti all’uomo, in termini sia di perdite di vite umane, che di danni materiali agli edifici, alle infrastrutture ed al sistema produttivo.
Il rischio esprime dunque il numero atteso di perdite di vite umane, di feriti, di danni a proprietà, di distruzione di attività economiche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare evento dannoso; in altre parole il rischio è il prodotto della probabilità di accadimento di un evento per le dimensioni del danno atteso.

L'ATTIVITà DEL DIPARTIMENTO

Il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri è il braccio operativo del Presidente del Consiglio, quando si tratta di affrontare i problemi della tutela delle persone e dei beni del Paese, sottoposti a particolari minacce e pericoli che derivano da condizioni di rischio naturale o ambientale o antropico.
Sin dalla sua istituzione, il Dipartimento della Protezione Civile si è occupato di gestione del rischio idrogeologico, uno dei principali rischi che affligge il Paese.
Le calamità che hanno colpito il territorio nazionale hanno insegnato che, per proteggere in modo efficiente la vita dei cittadini e l’integrità delle infrastrutture, occorre prefigurare gli eventi possibili in un’area, individuando quali potrebbero essere i danni e le attività da porre in essere prima, durante e dopo un’emergenza: proprio per questo motivo le attività di previsione e prevenzione hanno acquisito maggiore rilievo rispetto a quanto avveniva in un pur recente passato.
Le attività di previsione e prevenzione si basano su un collegamento sempre più stretto tra protezione civile ed il mondo della ricerca scientifica, con nuovi sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione delle informazioni, con centri di elaborazione dei dati in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino eventi catastrofici, con l’elaborazione di sofisticate ed efficienti cartografie di rischio, con la promozione di strumenti normativi e tecnici finalizzati alla prevenzione ed mitigazione dei danni.
I Centri funzionali, il piano radar, il monitoraggio idropluviometrico, le reti di trasmissione dei dati, che di seguito vengono sommariamente presentati, sono solo alcuni degli strumenti che la protezione civile sta mettendo in campo al fine di meglio assolvere ai propri compiti istituzionali

PREVISIONE E PREVENZIONE

Se fino a non molto tempo fa, ha prevalso l’orientamento di intervenire in sede di soccorso e ripristino dei danni, oggi si tende invece a porre l’enfasi sui fondamentali momenti della previsione e della prevenzione.
La previsione delle varie ipotesi di rischio consiste nelle attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi attesi.
Le attività previsionali consentono dunque, sia pure con margini di incertezza variabili da caso a caso, di poter stabilire quali sono le cause ed i meccanismi dei fenomeni calamitosi, prevedere i danni attesi, ed i limiti temporali e spaziali degli eventi.
Nel caso del rischio idrogeologico, le attività di previsione consentono di poter comprendere quali sono i fenomeni attesi, in particolar modo eventi meteorologici estremi. A tal fine concorre l’uso coordinato di tecniche e conoscenze sofisticate, quali la meteorologia applicata, con il perfezionamento di modelli meteorologici numerici (anche a scala limitata), le immagini da satellite sia geostazionario che polare, i radar meteorologici, i modelli afflussi/deflussi, i modelli idraulici, etc.
Se la previsione è dunque orientata all’individuazione dei fenomeni e ad una predizione degli effetti attesi, la prevenzione è invece imperniata sul concetto di riduzione del rischio.
La prevenzione consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti a calamità, catastrofi naturali o connesse con l’attività dell’uomo anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione. Le attività di prevenzione sono volte dunque all’adozione di provvedimenti finalizzati all’eliminazione o attenuazione degli effetti al suolo previsti.
Gli interventi di tipo preventivo possono essere strutturali o non strutturali. I primi consistono in opere di sistemazione attiva o passiva, che mirano a ridurre la pericolosità dell’evento, abbassando la probabilità di accadimento oppure attenuandone l’impatto. Esempi di interventi strutturali sono costituiti da argini, vasche di laminazione, sistemazioni idraulico-forestali, consolidamento dei versanti, etc.
Gli interventi non strutturali consistono in quelle azioni finalizzate alla riduzione del danno attraverso l’introduzione di vincoli che impediscano o limitino l’espansione urbanistica in aree a rischio, la realizzazione di sistemi di allertamento e di reti di monitoraggio,
Gli strumenti previsionali insieme alle reti di monitoraggio idro-pluviometrico consentono di mettere in atto un sistema di allertamento e sorveglianza in grado di attivare per tempo la macchina di protezione civile nel caso di eventi previsti o in atto la cui intensità stimata o misurata superi delle soglie di criticità prefissate. Il superamento di tali soglie porterà alla realizzazione delle attività previste nella pianificazione di emergenza e in particolare di quelle per la tutela dell’incolumità delle persone .
Il Dipartimento promuove, finanzia e coordina iniziative tecnico-scientifiche, anche a carattere europeo, finalizzate alla conoscenza del rischio ambientale ed alla mitigazione degli effetti degli eventi estremi (frane, alluvioni, etc.), attiva studi e ricerche, segue le attività connesse all’individuazione delle esigenze e alla progettazione delle reti di monitoraggio, coordina le attività tecnico-scientifiche svolte in materia dagli Enti competenti nonché ogni attività volta alla predisposizione di strumenti di controllo dei rischi, curando il rapporto con le organizzazioni scientifiche e di ricerca, con gli enti pubblici e privati che svolgono, in Italia e all’estero, attività di previsione e prevenzione nel rischio idrogeologico, partecipando a progetti di collaborazione con altre strutture omologhe di altri Paesi.
In questo quadro vanno inserite le convenzioni stipulate con numerosi enti di ricerca e centri di eccellenza della ricerca scientifica esistenti in Italia quali, per esempio, il Gruppo Nazionale Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il Centro Interuniversitario Monitoraggio Ambientale (CIMA) di Savona dell’Università di Genova e della Basilicata, l’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente – Servizio Idro Meteo (ARPA SIM) della Regione Emilia Romagna, l’ARPA della Regione Piemonte ed altri ancora.
Queste convenzioni, che fanno parte di un più ampio processo di trasferimento dei risultati della ricerca scientifica applicata alla società civile, sono finalizzate in particolare alla realizzazione di strumenti per il preannuncio degli eventi, la valutazione dei loro effetti a suolo e la loro sorveglianza nel tempo reale.
Alcuni esempi di questi risultati sono le previsioni meteorologiche quantitative fornite dall’ARPA-SIM Emilia Romagna utilizzate per l’emissione di eventuali messaggi di allerta, gli strumenti software e la consulenza tecnico-scientifica per il progetto del piano radar fornite dal CIMA, la definizione di soglie di allerta pluviometriche effettuata dalla Regione Piemonte.
Il Dipartimento della Protezione Civile si sta avvalendo in modo intensivo dei contributi e della consulenza della comunità tecnico-scientifica per la fase di realizzazione dei Centri Funzionali, una rete di centri regionali di raccolta e di elaborazione di dati di natura meteorologica, idropluviometrica, idrologica, idraulica e geologica, che costituisce utile supporto alla decisione per l’emissione delle allerta per rischio idrogeologico (inondazioni, frane, valanghe, mareggiate, etc.), ed anche per il piano radar, consistente nell’acquisizione ed installazione di una rete radar nazionale in modo tale da “coprire” l’intero territorio nazionale, per effettuare previsioni a brevissima scadenza (nowcasting).
Già adesso, presso il Dipartimento della Protezione Civile, è attivo il primo nucleo del Centro Funzionale Nazionale che valuta i dati provenienti dai servizi meteo regionali, curando ed organizzando il monitoraggio idropluviometrico, ovvero la raccolta di informazioni sugli effetti al suolo prodotti da eventi estremi, in collaborazione con le strutture regionali e locali.
Per quanto riguarda le crisi idriche, il Dipartimento cura la valutazione delle condizioni di possibile criticità per la popolazione nel caso di eventi sia incidentali (sversamenti, disfunzioni etc.) che ambientali (siccità, per esempio), raccogliendo ed organizzando dati ed informazioni presso le competenti strutture tecniche esistenti sul territorio.
Inoltre, per ciò che concerne gli aspetti di previsione e prevenzione, la normativa prevede che siano le Regioni a provvedere alla elaborazione ed attuazione dei Programmi regionali di Previsione e Prevenzione, in armonia con le indicazioni dei programmi nazionali.
Analogamente, saranno le Province, sulla scorta degli indirizzi regionali, ad assicurare la predisposizione dei programmi provinciali di previsione e prevenzione.
Inoltre, di recente (febbraio 2004) è stata emanata una direttiva a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri (“Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico a fini di protezione civile) che segna un significativo passo in avanti nel processo di miglioramento del complesso sistema di allertamento integrato nazionale e regionale.
Le attività di previsione e prevenzione messe in atto a livello nazionale, regionale e degli enti locali hanno già prodotto i loro benefici, ben visibili per esempio nel caso dell’alluvione del 2000, ampiamente prevista dai sistemi di allertamento. La previsione degli effetti al suolo ha consentito di allertare il complesso sistema di protezione civile, permettendo così la mitigazione dei danni previsti. Per citare qualche dato numerico, basti pensare che a distanza di sei anni dall’alluvione del 1994 che colpì il bacino del Po provocando 68 vittime, l’alluvione del 2000, che è stata caratterizzata da una intensità uguale o addirittura superiore, ha fatto registrare 24 vittime.
Ovviamente questo dato non può costituire motivo di soddisfazione, ma sta ad indicare che la strada intrapresa è quella giusta: le attività di previsione e prevenzione messe in atto dal sistema di protezione civile nel suo complesso, hanno permesso di ridurre significativamente il numero di vittime e contenere i danni.